Migranti untori? E’ ridicolo. Alla salute di tutti fa male la loro invisibilità
Intervista di Luciano Scalettari a Sandra Zampa su Famiglia Cristiana del 14 agosto 2020
Parla la sottosegretaria alla Salute: «Se c’è una lezione che ci viene dalla pandemia è che dobbiamo prenderci cura di tutti. Se non lo si vuol fare per l’attenzione ai diritti umani o per i valori della solidarietà, lo si faccia almeno per l’intelligenza di capire che la salute di uno è la salute di tutti. I Decreti sicurezza? Cambiamoli, sono parte del problema: hanno generato solo illegalità e insicurezza»
«È ridicolo gridare al migrante untore. Serve ad altri scopi, non certo alla salute e alla sicurezza di tutti». È tranchant il giudizio di Sandra Zampa, sottosegretaria alla Salute con delega alla medicina dell’immigrazione e delle fragilità. La onorevole risponde alle polemiche di questi giorni sui rischi che il virus sia diffuso da parte degli immigrati giunti in Italia. «Siamo seri. Primo, i dati dicono che i migranti s’ammalano nella stessa proporzione degli altri; secondo, creare paure e spingerli a temere i controlli non fa bene a nessuno, né a loro né a noi. Queste polemiche possono spingere i migranti ad avere comportamenti non razionali, dettati dalla paura, magari dalla volontà di nascondersi. Quindi un secco no al fatto che lo straniero sia un diffusore del virus. Il ragionamento che va fatto è un altro».
Qual è?
«Queste persone, al contrario, non devono essere costrette a nascondersi, a cercare di sfuggire al sistema sanitario per paura di controlli».
Ossia, se sono invisibili è molto peggio.
«Certo. Il Covid ci ha insegnato che ogni persona va tutelata. Perché una sola persona in una città lontanissima della Cina si è contagiata e oggi è paralizzato il mondo intero. Se c’è una lezione che ci ha dato la pandemia è che dobbiamo avere cura di ogni persona. Di ciascuna. Ogni singolo vale la salute della comunità, e il bene della comunità dipende dal bene di ciascuna persona. Se non si vuole prendersene cura perché si è sensibili al tema dei diritti umani o per i valori della solidarietà, lo si faccia almeno per egosimo, per furbizia, per intelligenza: dev’essere chiaro che per mettere in sicurezza la tua salute devi aver cura di quella dell’altro, di qualunque colore, razza o provenienza sia».
C’è chi allora dice “non li facciamo arrivare”…
«Innanzitutto, stiamo parlando di persone che spesso sono già in Italia da molto tempo. Mi riferisco ad esempio ai quattro casi del foggiano: immigrati che vivono in uno dei più grandi ghetti italiani. Noi sappiamo che i ghetti sono come un pagliaio in cui buttiamo un cerino. I problemi delle Rsa si sono prodotti per questo: un caso in un luogo chiuso o affollato diffonde il contagio. Sembra che la storia oggi abbia deciso di darci molte lezioni tutte insieme: anche da questo punto di vista occorre che cambiamo la politica delle grandi concentrazioni di persone. In secondo luogo, non dimentichiamo che verso i migranti che arrivano in Italia, che certo non si fermano per il Covid, abbiamo degli obblighi, come loro li hanno nei nostri confronti».
Quindi, che fare?
«Dobbiamo applicare le linee guida, che ora esistono, che forse potevano esistere già da qualche tempo, e comunque ora ci sono. Le linee guida dicono che gli stranieri che arrivano nel nostro Paese vanno sottoposti a test. Devi fare una valutazione sulle loro condizioni di salute. La via più rapida e più sicura è il tampone. L’importante è capire che anche verso i migranti, come verso tutte le categorie fragili, devi avere la massima cura. E come per gli italiani, il positivo va isolato rispetto a chi sta bene. La valutazione sul diritto a rimanere in Italia o ad andare in altri Paesi europei viene dopo… prima di tutto va fatto lo screening. Esistono delle linee guida che vanno rispettate. In virtù della delega che ho, sono stata io a chiedere di predisporre questi protocolli, realizzati d’intesa col ministero dell’Interno, con l’Anci, con le organizzazioni che si occupano dei migranti. Le linee guida vanno conosciute e applicate. È importante che questo sia chiaro a tutti: salvaguardare la salute dei migranti è salvaguardare anche la nostra».
Andrebbero evitate situazioni di affollamento come quella di Treviso o di altre situazioni che abbiamo visto in queste settimane.
«Ovviamente sì. Noi chiediamo che i centri d’accoglienza siano piccoli. Ora ci troviamo di fronte a problemi che andavano risolti e che non abbiamo nemmeno affrontato. Abbiamo bisogno di ospitalità diffusa, di piccole comunità e non di grandi ghetti o grandi gruppi. Non avere in questi anni affrontato i nodi, ad esempio questo, delle modalità dell’ospitalità producono ora i problemi. I Decreti sicurezza hanno prodotto, in realtà, solo illegalità e insicurezza: non c’è niente di più dannoso dal punto di vista della salute pubblica che l’illegalità e la condizione di nascondimento e di invisibilità delle persone. Più sono invisibili e più sono a rischio per la loro salute e per quella degli altri. È stupido e dannoso il modo in cui è stata affrontata la questione. Salvini ha solo peggiorato la situazione».
Quindi, occorre una rapida inversione di marcia?
«Non c’è dubbio. Ospitalità diffusa, che è quello che abbiamo sempre chiesto come Pd, ma su cui ha sempre insistito anche la società civile che ha esperienza diretta del lavoro con i migranti. Quello che funziona è il modello dei minori stranieri non accompagnati. Pur nella scarsa applicazione dà buoni risultati. È un modello che permette davvero l’accoglienza diffusa. Ed è un percorso che porta a una vera inclusione. Non a costringere l’immigrato a nascondersi e a lottare per avere una casa e un lavoro. Il ghetto del foggiano è abitato da più di mille disperati che – almeno fino a pochi giorni fa quando c’è stata la parziale regolarizzazione – sono stati costretti a lavorare per due euro all’ora. Li abbiamo sfruttati fino all’osso, e oggi qualcuno osa pure chiamarli untori».
Le linee guida riguardano anche le altre categorie vulnerabili.
«Sì, tutte le situazioni di fragilità: poveri, senza fissa dimora. Per me resteranno indimenticabili i senza fissa dimora incontrati durante il lockdown a Roma. Privati anche dell’elemosina. Ho visto delle larve umane. È la società civile organizzata – la Caritas, Sant’Egidio, le associazioni di volontariato – che si è mossa per loro, a dobbiamo davvero dire loro grazie per questo».
Possiamo dire che i migranti, con i protocolli che sono stati predisposti, sono i più controllati, in realtà?
«Non c’è dubbio. Sono la categoria più controllabile in assoluto, perché tutti vengono sottoposti a tampone. L’importante è che poi segua tutto quello che deve seguire nelle fasi dell’accoglienza, prima fra tutte l’accoglienza nei piccoli centri e non in grandi strutture che rischiano di diventare facili focolai di contagio».
Questo problema nasce anche dal rinvio del riesame dei Decreti sicurezza…
«Ho letto con molto interesse l’annuncio della ministra Lamorgese che finalmente le modifiche ai Decreti sicurezza sono pronte. Ne sono lieta. E speriamo che sappiano dare risposte a questioni nelle quali oggettivamente il nostro Paese non ha saputo a essere all’altezza. Mi riferisco anche al periodo in cui abbiamo subìto l’arrivo dei migranti, anziché essere protagonisti di un percorso che prevedesse i corridoi umanitari e una vera trattativa in Europa. Passi che dovevano essere fatti prima di rinnovare l’accordo con la Libia».
Un accordo che ha suscitato molte polemiche e proteste da parte della società civile.
«Con Al Serraj si doveva trattare prima, per ottenere almeno l’apertura dei campi di detenzione e la possibilità per l’Unhcr, l’Alto Commissariato per i rifugiati, di poter operare nel territorio libico in modo efficace. Questo avrebbe evitato molte critiche. Tutti sappiamo che la carne dei migranti per molti libici è merce di scambio e fonte di lucro. Sappiamo cosa avviene nei campi di detenzione. Bisognava almeno mettere in campo azioni per combattere l’illegalità. Se non si cancella l’illegalità non si otterrà mai niente, né per la salute né per il resto. Il fenomeno migratorio andrà avanti a lungo, così com’è stato d’altra parte per gli italiani che si nascondevano in Svizzera o negli Stati Uniti. Ricordiamolo, oggi i nipoti e i pronipoti di quegli italiani stanno dando molto ai Paesi dove emigrarono. Mi piace citare Anthony Fauci, visto che parliamo di salute, nipote di italiani, di seconda generazione, emigrato da una regione povera del nostro Paese».